Sono le 6, la sveglia suona e tocca alzarsi. Quanto è vero che uscire dalla porta – dal letto in questo caso – sia la parte più difficile e infame di un viaggio. In breve prendo Peppe, Marco, Antonio e in un paio d’ore siamo a Civitella Alfedena, in Abruzzo, nel centro vitale del Parco Nazionale. Il viaggio in auto non aveva regalato particolari emozioni, ma ora davanti a noi c’era l’alto anfiteatro che risale la Val di Rose, ai piedi dei monti Capraro e Petroso. Senza concederci troppe pause scendiamo dal borgo di Barrea e, costeggiando il lago omonimo, arriviamo all’attacco del sentiero.
La salita su sassi sconnessi richiama il ricordo di quando, ormai tre anni fa, affrontammo per la prima volta la Val di Rose, lì nel Pnalm. Ovvero un continuo spezzare il ritmo al fiato, così da sentire con forza il cuore esplodere dal petto. Rispetto ad allora però, sentivamo la forza necessaria per affrontare con semplicità di passo quel dislivello.
Dopo neanche un’ora svalichiamo il crinale boscoso che apre ai piedi del Passo Cavuto ritrovandoci, però, con i piedi immersi nella neve in largo anticipo rispetto alle aspettative, sia perchè davanti a noi c’è ancora da risalire al passo, sia perchè non conosciamo a fondo la qualità di questa neve che al momento non è che “pappa”.
Dobbiamo avanzare piano, misurare con passo attento il dislivello, ed esser cauti a non rimanere abbagliati dallo spettacolo di quella natura viva che ci circonda. Così, montati i ramponi, avanziamo sui gradoni scavati nella neve, colpiti in faccia di tanto in tanto da folate di vento freddo.
C’è una giornata pazzesca, con il sole alto sulle nostre teste ed un cielo azzurro a ricordarci quanto necessitiamo di questi momenti. Misurarci con gli elementi fa parte del nostro esseri umani, e se vogliamo dar valore a ciò che siamo dobbiamo necessariamente ribellarci agli schemi imposti dall’ordinarietà.
Mentre avanzo spesso guardo giù e mi meraviglio pensando a dove possiamo arrivare, pur essendo così piccoli.
Al passo abbiamo bisogno di un momento per riprendere fiato, per poi riperderlo come appena alla vista si apre l’ampio anfiteatro roccioso, ricoperto della neve residua di un lungo inverno. Da qui è possibile sentire, nel silenzio di quello spazio ampio, tutto il tempo che muove le cose
Il tempo del vento, nelle folate che si alternano. Il tempo che cambia, facendo spazio alla primavera. Il tempo della crescita, con cui ogni cosa segue il suo ciclo vitale. Il tempo che qui rallenta concedendoci del tempo in più per ammirare lo spettacolo.
Finalmente al rifugio non resta che rendere gloria a quanto fatto con caciocavallo, frittate e pancetta, perchè se è vero che gli ecologisti salveranno l’ambiente, noi con pane e formaggio faremo altrettanto.