La Translagorai è un trekking d’alta quota che, partendo dall’impianto della Panarotta di Levico Terme (TN), si spinge in una natura selvaggia ed incontaminata, lungo tutta la catena montuosa dei Lagorai, svettando massiccia tra la Val di Fiemme e la Valsugana, sino al Passo Rolle di fronte alle immense Pale di San Martino. Il trekking si suddivide in più tappe e, per coprire l’intero percorso, assaporandone tutta la meraviglia e l’atmosfera di luoghi austeri e severi, occorrono all’incirca sei giorni intensi di cammino, lungo i 5000 metri di dislivello e gli oltre 50 km in quota. La catena dei Lagorai, con i suoi grandi spazi aperti offre alla vista uno spettacolo a 360° che spazia su tutte le principali vette dolomitiche, preservando al suo interno valenze naturalistiche intatte e incontaminate. Ma la catena conserva, tra le immense pareti di roccia, anche i resti strazianti e sordi della Prima Guerra Mondiale. Fu qui infatti che i giovani italiani difendevano il fronte dall’invasione austriaca, ed è qui che ancora oggi è possibile ritrovare i resti di quella barbarie. Rifugi, bivacchi e trincee sono tangibili con mano rivivendo così le ferite di quei giorni.
La nostra storia si può dire che ebbe inizio alla fine del 2015 quando, per gioco, iniziammo a fantasticare su dove avremmo mosso i prossimi passi. Eravamo caricati nello spirito dallo spettacolo offertoci dalla Val di Rose in Abruzzo e volevamo di più, affamati d’avventura come oggi, andando a vagare come pellegrini sulle dolomiti. Qui al sud chi ama la montagna deve muoversi verso nord, ma è un amore viscerale che annulla le distanze e distrae dalle fatiche.
Con i mesi invernali ne approfittammo per studiare la zona, i suoi sentieri e le sue caratteristiche naturali e sociali. Cercavamo un territorio che potesse offrirci una vera esperienza, con pochi rifugi e qualche bivacco qua e là. Valutammo con attenzione tutte le alte vie cercando – ovviamente – quella che fosse alla portata di tutti, anche se a discapito della suggestione, poiché in quelle condizioni il gruppo deve tenere il passo del più lento o di chi più in difficoltà, se ha come obiettivo quello di completare una traversata del genere insieme.
L’arrivo della primavera ci risvegliò dal tepore della casa d’inverno, e le settimane che seguirono furono la nostra occasione per rinforzare nervi, muscoli e cervello. Ogni occasione era buona per fare del trekking che ci aiutasse a riconoscere i nostri limiti e le nostre possibilità. Correvamo come trottole impazzite da una montagna all’altra facendoci “ossa e gambe”, e non passò settimana senza allenamento. Venne Maggio e occorreva decidere dove andare, studiare una via che fosse in qualche modo intrigante e contarci, per capire quando e come muoverci. In quel mese gli impegni universitari e lavorativi ci tennero lontani, ma mai abbastanza da allontanarci dal nostro sogno. Era da poco passata la festa della mamma, il caldo primaverile andava consolidandosi e le nevi presero a sciogliersi dalle quote più alte. Maggio del resto è il mese delle grandi spedizioni sull’Himalaya e quale stimolo maggiore potevamo trovare se non quello di non smettere di sognare la nostra avventura? Una sera, a cena, dopo oltre due ore di chiacchiere, anche abbastanza animate, e senza neanche accorgercene, ci ritrovammo su un punto comune. Quell’estate avremmo traversato i Lagorai.
I giorni che seguirono li passammo a studiare. Cercando sulla rete, qua e là, cercavamo di capire cosa ci aspettava, o quanto meno provavamo a farcene un’idea che non si avvicinò neanche un po’ alla realtà. Nei nostri sogni immaginavamo di continuo spazi naturali selvaggi, e ci vedevamo rapidi sui pendii, in equilibrio su rocce instabili, veloci sui lunghi sentieri in salita. Nei nostri sogni la fatica non esisteva, e questo fu un male che capimmo soltanto in seguito. Chi e quanti saremmo stati era invece un’impresa ben maggiore da portare a termine, viste le defezioni e le uscite di scena da parte di meteore che hanno provato ad avvicinarsi a noi. Agli inizi di Giugno eravamo in sei, due ci avrebbero raggiunti a Trento da Padova, mentre noi quattro ci saremmo mossi in auto da Caserta. Il “quando” non fu invece sfida ostica, poiché lavoro e studio scandivano la nostra quotidianità, e per quanto potessimo sforzarci provandoci al massimo delle forze, da quella realtà non era possibile sfuggire. O meglio, non ancora.
L’estate arrivò travolgendoci e senza accorgercene, tra lavoro ed esami il tempo sembrava avanzare lentamente, come quando la notte, da bambini, non riuscivamo a prendere sonno, in attesa del giorno di festa l’indomani. Una lunga notte fino all’alba del 10 Agosto. A quel punto fu solo trekking.